Rodolfo De Santa

 

DALLA CANDELA AD INTERNET

Nei secoli, millenni, da sempre, l’uomo si e continuamente evoluto, cominciando con la scoperta del fuoco fino ad arrivare ai giorni nostri. Un’evoluzione che per moltissimo tempo è stata lentissima, con lunghi periodi di stasi per poi riprendere con nuove scoperte, ma sempre al ritmo del "rallentatore". Solamente nell’ultimo secolo la corsa è diventata sempre più frenetica con un susseguirsi di invenzioni e scoperte ad un ritmo così incalzante da rimanere stupefatti, quasi timorosi, di fronte a tanta tecnologia!
Nell’ultimo secolo l’evoluzione è stata superiore a tutti i precedenti millenni. Tutto questo ha portato all’uomo grandi vantaggi e comodità, ma anche tanti scompensi e mali sociali, in quanto non tutti sanno e riescono a gestire al meglio la marea di cose disponibili sul mercato.
Sono cambiati completamente lo stile ed il modo di vivere, il mondo è diventato piccolo, le distanze non fanno più paura, immagini e notizie ci giungono in pochi secondi dai posti più lontani e disparati, passeggiando si può comunicare tranquillamente con persone a migliaia di chilometri di distanza. Tutte queste conquiste sono però cose materiali, che non bastano a migliorare la qualità della vita. L’uomo ha bisogno anche di cose spirituali: passioni, sentimenti, amicizie, affetti, amore, senza le quali tutto il resto non ha alcun valore.
Come una volta, anche oggi quando ci si riunisce attorno ad un "fogolar" (magari con il cellulare in tasca ... ) ci si sente contenti guardando il fuoco e ascoltando il crepitio della legna che brucia, dimentichi di tutto il resto. In fondo l’uomo ha bisogno di poche e semplici cose per vivere bene, il resto fa solo parte dell’abitudine!
Ci si abitua a vivere secondo le circostanze, da ricchi o da poveri, da comandanti o da sudditi, al caldo oppure al freddo; l’uomo riesce ad adattarsi a seconda delle situazioni.
Non molti anni fa si accendeva la candela o la lampada a petrolio, oggi si sa dove siamo arrivati!
Non dobbiamo però dimenticare che nel mondo, diventato per noi così piccolo, ci sono ancora molte popolazioni che vivono come noi allora, senza elettricità, senza telefono, senza bagno e acqua in casa, afflitte dalla miseria e dalla fame devono lottare per la sopravvivenza; popoli dove tecnologia e benessere fanno fatica a farsi strada.
Oppure ci sono i popoli che rifiutano la nostra tecnologia ed il nostro modo di vivere, come gli indiani d’America o gli aborigeni in Australia, che non si sono mai adeguati al modo di vivere dei bianchi, preferendo la libertà delle loro praterie, le loro tende, i loro cavalli, le loro tradizioni.

L’INVERNO
Nonostante i metri di neve ed il freddo pungente, nella brutta stagione le molteplici attività non subivano alcun rallentamento, anzi, nel paese ferveva più vitalità che nelle altre stagioni. A questo contribuiva soprattutto il rientro dei moltissimi uomini che andavano a "fare la stagione" all’estero e con grandi sacrifici tornavano con il gruzzoletto che avrebbe permesso alla famiglia una vita più decorosa. Tornavano un po’ prima di Natale per trascorrere le festività in seno alla famiglia, per ripartire nuovamente in primavera.
L’emigrazione è sempre esistita nei nostri paesi, quasi una tradizione se non un obbligo ... ! Così tutti questi uomini riempivano il paese, le case e naturalmente anche le osterie, ognuno con le proprie avventure ed esperienze fatte lontano dal paeseIlo. Noi ragazzini andavamo ad aspettare questi uomini che arrivavano con la corriera: erano i nostri padri, zii, fratelli maggiori e cugini che consideravamo come degli eroi. Qualche regalino per noi c’era sempre nella valigia; ci accontentavamo anche di poche tavolette di cioccolato svizzero.
Arrivavano stanchi e dimagriti dal lavoro e dal lungo viaggio, ma contenti di essere nuovamente a casa.
Le donne lavoravano da buio a buio senza concedersi pause: dovevano accudire gli animali (ogni famiglia aveva una o più mucche, alcune pecore e qualche gallina), la casa, i bambini e nel poco tempo libero sferruzzavano continuamente facendo calze, maglioni, guanti, sciarpe, berretti ... non c’erano soldi per comprare queste cose al negozio.
Nei periodi in cui il freddo si faceva più intenso, diverse famiglie si riunivano nelle stalle più grandi e con il tepore che produ­cevano le mucche si passavano le serate al lume di candela.
I grandi parlavano delle loro esperienze ed avventure, facevano battute, raccontavano barzellette; noi piccoli ascoltavamo con le orecchie tirate e qualche volta ci addormentavamo. Poi di corsa a casa a riempire di acqua calda lo scaldino e subito a letto; le camere erano gelide, ma con le spesse coperte imbottite e lo scaldino, dopo pochi minuti non si sentiva più il freddo e ci si addormentava.
Si doveva risparmiare anche la legna, che era la nostra unica fonte di calore e doveva bastare per tutto il lungo inverno per riscaldare la cucina e cucinare. Chi aveva bambini in età scolastica doveva contribuire con una certa quantità di legna anche al riscaldamento delle aule.
Durante le forti nevicate le vie del paese si riducevano a stretti sentieri che sembravano camminamenti di trincee: non passa­vano spazzaneve! Ognuno doveva spalare il pezzo di strada davanti alla propria casa, macchine non ne passavano visto che in paese non c’era ancora nessuno che ne possedesse una.
Sulla strada nazionale, invece, lo spazzaneve passava e noi ragazzini incuriositi andavamo a guardare e rincorrere quella strana macchina che sembrava un carro armato e si tirava dietro una specie di slitta a forma di cuneo. La statale doveva essere transitabile per permettere, tramite la corriera, di raggiungere i paesi vicini e la lontana città.
Le stalle erano situate ad una certa distanza dall’abitazione e le donne compivano questi tragitti con ai piedi gli zoccoli di legno che nei periodi di neve e ghiaccio venivano sostituiti da altri con sotto la suola dei ferri a punta per non scivolare.
Ancor prima che facesse giorno c’era tutto un andirivieni di donne che andavano ad accudire i propri animali e poi in fila con il secchiello del latte si recavano alla latteria. Tutto questo i ripeteva anche alla sera; prima cenavano gli animali, poi noi. Svolti tutti i compiti era già ora di andare a letto.
I servizi igienici erano precari, molti avevano ancora il gabinetto fuori casa, una specie di garitta fatta con tavole di legno ed un semplice buco scavato nella terra; anche l’acqua la si doveva andare a prendere con i secchi nelle diverse fontane dislocate in paese.
In camera si avevano i vasi da notte che ogni mattina venivano sistematicamente vuotati fuori dalle finestre ... ! Dopo ogni nevicata bastavano pochi giorni per ridurre la bianca coltre a macchie di color giallastro-rossiccio non certo belle da vedere ...
Per gli uomini l’unico svago era l’osteria: il bicchiere di vino e la partita a carte; dopo i sacrifici fatti all’estero non era discutibile che dovessero avere un po’ di relax!
Noi ragazzini, dopo la scuola, ci divertivamo con le guerre a palle di neve o con le slitte lungo le vie più ripide; imparavamo anche a sciare senza l’aiuto di maestri e fu un giorno di grande gioia quando mio padre mi portò dalla Svizzera un paio di sci nuovi.
Così, tra una nevicata e l’altra, l’inverno lentamente passava e le giornate si tornavano pian piano ad allungare.
La legna da ardere merita un approfondimento: al contrario di adesso che abbiamo il bosco che lambisce e quasi soffoca il paese, allora erano i prati ed i pascoli a prevalere. I boschi erano per lo più situati in quota nei posti più ripidi e scomodi. Tagliare gli alberi, spezzettarli e trasportare la legna a casa era un lavoro molto pesante ed era prevalentemente compito degli uomini.
La legna era indispensabile per la sopravvivenza: serviva per cucinare, scaldare l’acqua ed intiepidire la stanza dove si viveva. Era impossibile sopravvivere all’inverno senza legna ... ! Bisognava tagliarla un anno prima per lasciarla seccare nel bosco (la legna verde non brucia), poi, con l’aiuto della neve ed apposite slitte, veniva trasportata a casa, tagliata e spezzettata ulteriormente e portata con le gerle sotto il tetto di casa. Anche il foraggio che le donne accumulavano nelle baite in quota veniva trasportato a valle con le slitte. Bisognava aspettare una sostan­ziosa nevicata prima che, con le ciaspole ai piedi (racchette da neve), gli uomini incominciassero a preparare le piste per le slitte comprimendo la neve per non sprofondare.
Le slitte, pesanti una ventina di chili, venivano portate a spalla su per le piste, che a tratti erano molto ripide; nello zaino altri utensili: apposite corde per legare il carico, cavetti da legare sotto i pattini della slitta che facevano da freno nei tratti più ripidi, il ferro del fieno e qualcosa per rifocillarsi.
Il fieno, compresso nel fienile, veniva tagliato nella giusta misura con questo ferro, sottile e tagliente come un rasoio.
Dopo questi pesanti lavori gli uomini affilavano, aggiustavano, oliavano e riponevano gli attrezzi usati e si concedevano un po’ di riposo, in attesa di ripartire per "fare la stagione".
I divertimenti non erano molti; i giovani si riunivano il sabato nella sala da ballo oppure al cinema, poi c’erano le carnevalate e le manifestazioni sportive con numerose ed avvincenti gare di sci da fondo.
Così si trascorreva l’inverno, fino a che, il gocciolio della neve che si scioglieva sui tetti e le primule e i bucaneve che sbocciavano nei posti più esposti al sole, non preannunciavano l’arrivo della primavera: l’aria tiepida invitava ad aprire le finestre, lasciando entrare il profumo dei prati che scongelandosi ricominciavano a vivere e facendo tornare il desiderio e la gioia di correre per giocare di nuovo all’aperto.
C’era anche un velo di tristezza e malinconia: il paese si svuotava nuovamente degli uomini, che giornalmente partivano con la corriera, attorniata da amici e parenti che salutavano abbraccia­vano e auguravano buone cose, per una nuova stagione lontani da casa.
 

LA PRIMAVERA
Da noi, in montagna, la primavera fa fatica ad avanzare, la spessa coltre di neve si scioglie lentamente, di notte la temperatura scende ancora sotto lo zero e c’è ancora la sorpresa di qualche sporadica nevicata.
In queste settimane d’attesa, le donne, tristi per la partenza dei loro uomini, si concedevano un po’ di relativo riposo. Si dedicavano alla pulizia della casa, a lavare, rattoppare e riporre gli indumenti invernali e incominciavano a preparare i prodotti per la semina: patate, fagioli, granoturco e zucche; questi prodotti, che crescevano abbastanza bene nel nostro territorio, erano necessari alla nostra sopravvivenza. Anche se a volte accadeva che il gelo veniva quando tutto era in fiore, distruggendo tutto, allora erano guai e riempire lo stomaco diventava problematico.
Pregando e sperando in un buon raccolto, si preparavano campi e orti per la semina, si trasportava lo stallatico con le carriole oppure con le gerle, si preparavano i dritti rami di nocciolino che servivano di sostegno per le piante di fagioli. Quest’ultimo era compito di noi ragazzini, che così incominciavamo a prendere confidenza con le accette e le roncole, attrezzi taglienti che bisognava utilizzare con molta prudenza. Anche con la falce bisognava stare molto attenti, ma sbagliando si impara! Qualche taglietto di tanto in tanto era inevitabile ...
Il nostro gioco preferito era il pallone; giocavamo nelle vie e piazze del paese e spesso qualche piede maldestro faceva finire la palla contro qualche finestra provocando i rimproveri e le urla dei proprietari che, minacciosi, ci facevano smettere. Se poi una finestra andava in frantumi, per il colpevole erano guai: avrebbe dovuto pagarne la sostituzione e di conseguenza venire castigato anche dai proprio genitori.
Facevamo anche lunghe camminate per i boschi e tornavamo a casa con enormi mazzi di mughetti e scarpe della madonna; con orgoglio donavamo questi bellissimi fiori alle nostre mamme che con gratitudine li sistemavano in un vaso.
Con il tepore primaverile e la natura che si risveglia, anche noi
acquistavamo brio e vivacità! Volevamo essere liberi di correre e giocare all’aria aperta ed aspettavamo con impazienza la fine dell’anno scolastico.
Intanto, terminata la semina, dopo aver pregato e fatto gli scongiuri perché il gelo non venisse a rovinare tutto, le donne si accingevano a falciare i prati; si doveva nuovamente incominciare a riempire il fienile. Si era completamente sprovvisti di qualsiasi macchinario, tutto veniva fatto con grande fatica a forza di braccia; chi possedeva una carriola, un carretto con le ruote di gomma oppure una bicicletta, veniva considerato ricco e privilegiato!
Questi privilegiati avevano in casa anche la luce e l’acqua corrente, e qualcuno anche la radio.
Con l’ultimo giorno di scuola per noi ragazzini Incominciava l’estate; eravamo liberi e presto saremmo partiti per le “vacanze” in montagna ... Anche mucche e pecore avrebbero lasciato le stalle in paese per trascorrere l’estate negli alpeggi in alta quota.

L’ESTATE
Ripulite le stalle dopo la partenza degli animali, ripuliti campi e orti dalle erbacce, terminato lo sfalcio dei prati, come ogni estate si partiva verso i casolari in quota dove altri prati aspettavano di essere falciati.
Nei boschi, la legna che gli uomini avevano tagliato aspettava di essere accatastata; le ramaglie andavano raccolte ed adoperate come combustibile nei focolai per cucinare e riscaldarci; infatti in montagna nei giorni di pioggia fa freddo anche d’estate.
Questi casolari erano per lo più delle costruzioni rustiche dove tutto era ridotto al minimo indispensabile: una cucina, una camera da letto, stalla e fienile.
Per risparmiare candele e petrolio, si andava a dormire appena faceva buio e ci si alzava alle prime luci dell’alba.
Noi ragazzini eravamo entusiasti di partire per la montagna; per noi era un divertimento aiutare le mamme a fare il fieno, ammuc­chiare la legna, portare a casa le ramaglie, accendere il fuoco e dormire nel fienile con il profumo dell’erba appena seccata.
Per materasso avevamo il "paglione", un grande sacco riempito con le foglie delle pannocchie di granoturco. Muovendosi i faceva un grande fracasso, comunque si stava abbastanza comodi e caldi.
Quasi tutti gli anni arrivavano i militari del corpo degli Alpini per il campo estivo; parlavano una lingua che noi non capivamo molto, erano Abruzzesi... Si accampavano vicino a un torrente non lontano dai nostri casolari e vi rimanevano un paio di settimane; avevano i camion, le jeep, le tende, i fucili... La curiosità era più forte del timore e ci avvicinavamo finché loro ci vedevano, ci salutavano e ci facevano segno di raggiungerli. Loro avevano perfino la cioccolata e ce ne davano qualche pezzetto. A mezzogiorno ed alla sera, quando suonava la tromba, correvamo con i secchielli in mano e ci mettevamo in fila dietro di loro: in fondo al pentolone rimaneva sempre qualcosa e così tornavamo a casa con i secchielli pieni di pasta, riso o minestra. Non mangiavamo mai così bene come quando c’erano gli Alpini! Quando se ne andavano la tristezza ci rimaneva addosso per giorni come quando partivano i nostri cari per la stagione all’estero.
Andavamo ad esplorare i posti più tortuosi e quasi inaccessibili: alla base di una parete rocciosa avevamo scoperto alcune grotte naturali abbastanza grandi da poterci stare in parecchie persone.
Nei giorni di pioggia era il nostro rifugio; in un angolo avevamo una buona scorta di legna secca, con la quale accendevamo il fuoco e, quando c’erano, ci portavamo alcune patate da cucinare alla brace.
Mangiavamo e guardavamo la pioggia, contenti di essere all’asciutto e nel tepore del fuoco.
Una volta alla settimana si andava in paese a fare la spesa e a sentire le novità. C’erano parecchi turisti in paese; noi li chiamavamo "i signori" perché erano ricchi ed eleganti e ci mettevano in soggezione. Anche noi affittavamo la nostra casa ai "signori" per guadagnare qualcosa: i soldi scarseggiavano sempre! Fatte le commissioni e salutati parenti ed amici, ci si incamminava per il ritorno con nelle gerle il necessario per tutta la settimana.
Stavano asfaltando la strada nazionale, che si inerpicava verso il Passo; avanzavano lentamente, ma sarebbero arrivati in cima. La strada passava abbastanza vicina ai nostri casolari e noi ragazzini ci eravamo messi in testa di asfaltare il sentiero che dalle case portava alla fontana dove tutti i giorni andavamo a lavarci e a prendere l’acqua per la cucina. Avevamo già osservato come venivano fatti l’impasto e la preparazione del sottofondo; loro avevano i macchinari, ma noi avremmo saputo cavarcela con i nostri mezzi rudimentali. Avevamo notato che nei bidoni vuoti rimaneva sempre una piccola quantità di catrame, essenziale per il nostro scopo. Quando sarebbero arrivati nelle nostre vicinanze saremmo andati, sul far buio, a scolare per bene i bidoni nei nostri secchi; avevamo già preparato la massicciata ed il ghiaietto da mescolare con il catrame.
Dopo un paio di settimane cominciammo il nostro lavoro serale. I bidoni “vuoti” del catrame erano ogni giorno una decina e da ognuno riuscivamo a scolarne fino a mezzo litro. Un paio di settimane ed il nostro sentiero era egregiamente asfaltato, e noi felici per la nostra opera d’arte…
Con tutte queste attività, l’estate passava. Settembre è la stagione dei funghi; ne trovavamo molti! Quelli che non mangiavamo subito venivano seccato o messi sottolio, conservandoli per l’inverno. Per noi non erano una specialità, ma semplicemente un prodotto che la natura ci dava gratuitamente.
Era anche il tempo di portare a valle il bestiame; nei pascoli d’alta quota il freddo cominciava a farsi sentire e l’erba era ormai esaurita; tutti dovevano andare a prendersi i propri animali percorrendo sentieri molto ripidi. Dopo un paio d’ore di cammino si raggiungevano le malghe; ci si intratteneva un po’ con i pastori ed altri conoscenti, si mangiava e si ammirava il paesaggio che da lassù è veramente imponente. Noi ragazzini ci spingevamo ancora più in alto in cerca delle ultime Stelle Alpine.
Poi, ritrovati i propri animali, si riprendeva la via del ritorno. Nella gerla si avevano i prodotti che ci spettavano: alcune piccole forme di formaggio e la ricotta affumicata che a me piaceva tanto.

 
L’AUTUNNO
L’autunno era la stagione del raccolto. Le giornate si stavano accorciando rapidamente e l’aria incominciava ad essere frizzante. Riempito il fienile, accatastata la legna e ripulito il bosco, ci si accingeva a lasciare i casolari e a ritornare in paese. Era imminente anche l’inizio del nuovo anno scolastico e noi eravamo un po’ tristi, come tristi sono le giornate autunnali quando piove.
Si partiva in corteo assieme ad altre famiglie, con mucche e pecore e nelle gerle le cose più necessarie; si sarebbe tornati in seguito a prendere il resto ed a mettere tutto in ordine.
Rieccoci in paese, rieccoci a scuola, rieccoci a giocare a pallone nelle vie ... !
Le donne erano impegnate nel raccolto: granoturco, patate, fagioli, cavoli, zucche, bietole, mele, noci. .. tutto veniva portato a casa e messo ad asciugare nei solai. Questi generi alimentari sarebbero dovuti bastare per rutto l’inverno.
Dimenticanza imperdonabile: c’erano anche le ragazzine! Prevalentemente loro avevano altri giochi ed altri interessi, ma avevamo anche qualche gioco che ci accomunava: nascondino, il salto della corda, mosca cieca ... così nascevano delle tenere ed innocenti amicizie e simpatie, che con il tempo sarebbero potute finire perdendosi di vista, oppure, in altri casi, sarebbero diventate amore per tutta la vita.
Loro avevano meno libertà di noi maschi, dovevano già aiutare le mamme nei lavori di casa: imparare a cucinare, lavorare a maglia, cucire, badare ai fratelli più piccoli... ancora bambine, ma già piccole donne.
21 novembre, sagra del paese: odore di mandorle e zucchero filato, la giostra ed il tiro a segno, bancarelle colme di ogni ben di Dio. C’erano anche i giocattoli: le palline con l’elastico, le pistole ad acqua, i palloni di cuoio ... solo pochi compravano, i più guardavano e tiravano dritto. Si compravano solo le cose necessarie: caldi scarponi, coperte di lana, maglioni; di superfluo ci permettevano solamente un pezzo di mandorlato ed un po’ di zucchero filato.
L’aria si era fatta gelida, la neve aveva già imbiancato le montagne e sarebbe presto arrivata fino in paese. Il ciclo si era compiuto e con l’arrivo imminente dell’inverno un altro ciclo avrebbe avuto inizio; altre quattro stagioni più o meno belle e più o meno uguali.
I grandi cambiamenti sarebbero avvenuti più tardi, cambiamenti che avrebbero mutato completamente la nostra società ed il nostro modo di vivere. L’era tecnologica stava per arrivare come una grande onda e non si sarebbe più fermata. Molti uomini si portarono le loro famiglie all’estero oppure nelle grandi città industriali italiane ed alcuni addirittura oltreoceano:
Stati Uniti, Argentina, Australia ...
Il bestiame venne venduto, i casolari furono abbandonati e lasciati al loro desino, stalle e fienili rimasero vuoti oppure vennero venduti ai ricchi turisti di città. Il sogno per cercare una vita migliore si stava compiendo; niente sarebbe stato più come prima.
I miei nonni paterni riposavano già nel campo santo. Mio padre, qualche volta, parlava di loro, di come mio nonno fosse un bravo tagliapietra e fosse andato per molti anni a lavorare negli Stati Uniti, ma senza molta fortuna. Era un brav’uomo, ma aveva le mani un po’ troppo bucate: i lunghissimi e costosi viaggi in nave e treno gli portavano via gran parte dei risparmi e quando arrivava a casa di dollari ne rimanevano davvero pochi; lui era ugualmente contento, diceva che in America le persone di colore stavano molto peggio di noi.
Andavo spesso dai nonni materni. Lui era un uomo alto e muscoloso, aveva i baffi ed i capelli completamente bianchi nonostante fosse ancora relativamente giovane. Serio autoritario e di poche parole, sotto quella corazza aveva un cuore d’oro, come d’oro aveva le mani che sapevano fare di tutto.
Quando avevo dodici anni, mi disse: "Tu sei fortunato che puoi andare ancora a scuola, io alla tua età ero già in Germania, a Monaco di Baviera, ad imparare a fare il fabbro e dovevo alzarmi sempre alle cinque di mattina." Faceva anche il maniscalco ed era un bravo muratore.
Mi piaceva vederlo battere il ferro incandescente sull’incudine fino a che uscivano i pezzi finiti: ferri di cavallo, chiodi, punte, scalpelli ed altri utensili. Anche lui aveva passato diverse stagioni all’estero: Germania, Svizzera e perfino in Persia dove diceva che non c’erano prati ma solo sabbia, deserto e qualche cespuglio che lui chiamava Spinacristi.
Qualche volta mi lasciava girare la manovella della fucina e guardavo affascinato il fuoco del carbone rovente con i colori che andavano dal rosso al giallo al bluastro. Mi raccontava di quando, in tempo di guerra, i Cosacchi venivano continuamente a far ferrare i loro cavalli e pretendevano anche qualcosa da mangiare... Quello da mettere sotto i denti era sempre poco, bastava a malapena per sopravvivere: una dieta obbligata, continua, perenne ...
E siamo arrivati ai giorni nostri, con l’imbarazzo della scelta se fare il bagno oppure la doccia, se guardare la televisione oppure accendere il computer, se usare il fuoristrada oppure la limousine ...
Il bagno completo lo si faceva solo in coincidenza con le grandi feste, in appositi e voluminosi mastelli fatti di doghe e cerchi di ferro. Le donne adoperavano questi grandi mastelli anche per lavare la biancheria più voluminosa: lenzuola, coperte ... Le altre volte ci si lavava alla meglio e alla svelta, con l’acqua fredda ...
Molti casolari sono crollati e se ne intravvedono i ruderi fra gli alberi e i cespugli che hanno ormai preso il posto dei prati.
La grotta dove andavamo a cucinare le patate è ancora intatta, nel mezzo c’è ancora un mucchietto di cenere e in un angolo ci sono ancora alcuni pezzi di legna. E’ così come l’avevamo lasciata molti anni fa!
Con un po’ di nostalgia e di rimpianto scendo cautamente la ripida cima; le gambe non sono più agili ed elastiche come un tempo. Pensieroso mi guardo intorno, i prati che imperavano in gran parte della vallata sono completamente scomparsi: il bosco ha avuto il sopravvento trasformando tutto in una selva impenetrabile. Penso ai miei "ragazzini", che probabilmente stanno guardando la televisione o sono collegati ad internet; penso sia giusto che sappiano; forse già domani svelerò loro questo segreto e non dovrò dimenticare le patate!