A' REBOURS

Quando anni a venire guardando senza enfasi questa vallata parlava del domani di oggi un vecchio amico mi ammoniva sulla troppa disponibilità verso i contemporanei; quel voler discutere con la gente, cercare di spiegare, proporre altri punti di vista, dibattere senza preconcetti.

Li conosceva uno per uno i suoi compaesani.

Tempo perso: questa la sua lapidaria risposta.

Non serve a nulla mi diceva rigirando i pollici nell'intreccio delle grandi mani.

Non vedi che a guadagnare sono sempre e solo i soliti panciotti, che i luoghi del denaro sono occupati dai più opachi (* intendendo chi non riflette ), che tutti credono di aver capito tutto, non di Forni ma addirittura del mondo, per aver letto alcuni titoli sul quotidiano che piace ai sempliciotti.

Lascia la penna, mi diceva, e pensa a speculare (* non so se intendeva la ricerca filosofica o la scaltrezza affaristica).

Rimanevo in silenzio, sconcertato.

Mi indicava una finestra socchiusa, un fienile spoglio, il vecchio susino, i prati selvaggi; indagava col piede i solchi della pietra rossa, bôri di Val di Laur , diceva, penetrava con l'unghia le oscure venature dello stipite di larice. Ci vorrà del tempo, affermò.

Dopo l'odierno rumore ritornerà la melodia. Panta rei.

Poi improvvisamente citava i classici, non da rètore, così tra sé e sè. Il pensiero deve dipanarsi nel tempo, farsi “lungo”: invece troppi pensano solo a farsi largo. Così si perde il ricordo. Patriarcato Regno Fascismo Repubblica: cinquant'anni sono ieri, mille nulla.

Caporale nella Grande Guerra, ne portava ancora i segni, aveva disertato durante la rotta di Caporetto vivendo per due anni nello stavolo del padre, assieme ad altri che al tempo chiamavano “refrattari”, fino all'amnistia del 1919. Poi riprese in mano la valigia. Non si era schierato col cupo regime fascista, subendone anche le conseguenze. Per questo parlando dei nostalgici si dichiarava un coerente “anti-imbecillista”: par chei a ì senpri carnavâl , ma apena chi sgàra la carêsima a i davour la puarta .

Le sue argomentazioni vigorose, sempre puntuali e aggiornate, colpivano per la lucidità, ma anche per una sorta di cruccio severo, di rabbia trattenuta, come d'un bibliotecario che vede distrutti i suoi libri, di un padre che vede maltrattati i suoi figli.

Pensava al patrimonio culturale di Forni, alla sua storia, alle eccezionali bellezze di questa valle. Queste le sole cose che lo interessavano: i beni sociali, le opere d'arte, l'architettura spontanea, l'osmosi con la natura.

Non tollerava di veder trascurati quei valori, il non essere trattati col religioso rispetto che meritano, con la riverenza che si deve alla cose grandi.

Ma, Comune Chiesa Scuola, tu che li frequenti, mi chiedeva, cosa fanno.

Era sempre lacerato da amare considerazioni sul suo tempo, sullo stato del paese, sul modo com'era amministrata l'impareggiabile eredità che i nostri avi ci hanno affidato: una valle di cui esserne padroni, palazzi di cui esserne fieri, santuari che tutti ci invidiano: quanti conoscono San Floriano, perché proprio quei santi?

Non smetteva di esprimere il suo malcontento verso la mancata conservazione della nostra identità, verso l'inadeguatezza di quanti hanno responsabilità amministrative: un degrado che non si ferma.

La vendita di un metro di terra intrisa di sudore lo amareggiava. Una frattura col passato resa evidente dalla mentalità televisiva dei giovani: non vedo in loro la gioia del gioco, la complicità dell'approccio, li ricopre solo la polvere della noia.

Ormai, sussurrava, il paese creatore di cooperative, società, associazioni; il paese costruttore di chiese, fontane, latterie trova difficoltà nel sapersi dirigere.

Verso dove, diventare cosa?

Aprirsi al “nuovo”, cambiare, restare. Ma secondo te, mi chiedeva, chi sarebbero questi Soloni, padroni o altri “oni”, che dovrebbero “riscoprire il futuro”?

Ma poi: il futuro di chi?

Guardava i mulinelli di foglie sotto il sorbo, le nuvole veloci di questa tardiva primavera. Poi, improvvisamente, faceva dei nomi, pronunciava degli aggettivi, anche pesanti, muoveva la testa.

Gente degna di quei predecessori creatori di Forni non ne vedeva, notava con amarezza una mancanza di cultura, di spina dorsale, di voglia di capire.

Certuni credono che la meta sia nulla e il possedere un mezzo per andare da qualche parte tutto. Meglio sarebbe conoscere il luogo dove si vuole arrivare, anche se, al momento, non si sa bene come raggiungerlo.

La montagna, d'altronde, era piena di sorprese, di sentieri che portavano dappertutto, di montanari che conoscevano il mondo e le strade per ritornare.

La moderna viabilità, tanto richiesta anche da noi, può trasformarsi in geometrica via di fuga da qualcosa.

Oggi, mi chiedeva, chi sono i fornesi; quelli che sentono muovere le radici sotto i loro piedi, nella “loro” terra; quelli che sanno far germogliare le foglie della prossima primavera. Li vedi?

I concittadini del mio tempo, mi diceva, mi hanno deluso. Erano gli anni del “boom” turistico, dell'arrivo di affaristi e mentalità estranee, della svendita dello stavolo avito per cambiare il fuoristrada, dello sberleffo verso chi si rifiutava di ri-farsi comprare.

Non sono granchè ottimista verso il mio futuro, mi diceva, deve passare ancora un po' di tempo, deve diventare il futuro condiviso dai giovani di domani; d'altra parte bisogna capire meglio, c'è troppa confusione, si alza troppa polvere, non vedo l'orizzonte. Ma forse, alla mia età, non ho più la forza di guardare lontano e di sognare. E chi c'è l'ha forse non è capace di farlo.

 

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